Quando mia madre mi regalò un mappamondo avrò avuto sì e no 9 anni, un' età di solito poco curiosa rispetto a quel genere di regali, un "aggeggio" senza il minimo movimento elettronico, nessuna lucina, né rumore, né rilievo.
E' rimasto lì, fermo per un pò di tempo sulla mensola sopra la scrivania, a prendere la polvere, a differenza del mio vecchio Commodore 64, indistruttibile schiaccia-sassi.
Solo con il tempo cominciai a navigare con le dita da un polo all' altro, alla velocità della luce, parallelo dopo parallelo... in luoghi che avevano nomi impronunciabili, ed altri famosi perché "visti alla tv".
Il mio primo viaggio all' estero, senza contare le vacanze con i miei genitori, è stato con la scuola, a Monaco di Baviera, e dopo di questo se ne sono susseguiti altri fino a "capitare" qui.
Da piccolo, anche se ero interessato più a giocare che a fare altro, guardavo i viaggiatori con grande ammirazione, mi sembrava che il mondo fosse così misterioso ed inesplorato, dove per esempio i Finlandesi erano diversissimi da noi, così come gli Indiani od i Maori... ricordo quei sabato mattina passati a guardare i documentari di Ambrogio Fogar e della Colò, uno disperso in un oceano del nord col suo fantastico compagno di viaggio e l' altra a contatto con chissà quale tribù dell' Africa... loro sì che viaggiavano!
Adesso internet e la tecnologia in generale ci hanno fatto fare grandi passi in avanti... puoi finire sotto ad una valanga ma con gli appositi strumenti vieni "ripescato" rapidamente, così come se ti perdi nel deserto o in mezzo al mare... diventa tutto più facile... o almeno è quello che le informazioni ci fanno credere.
La mia sensazione è che la tecnologia ci abbia fatti ammalare, facendoci credere che stiamo molto meglio di un tempo... è rimasta una necessità primaria quella della comunicazione, ma a differenza di un tempo, lo si fa in modo sterile, senza le classiche "due chiacchiere". Quando leggo di persone che per periodi se ne escono dall' Italia e se ne vanno all' estero, noto più un senso di tristezza e solitudine più che uno spirito ravvivato dalla naturale scoperta di un luogo sconosciuto, a volte sembra che i viaggi li facciamo più per raccontarli che per viverli... che se stiamo zitti vuol dire che non abbiamo niente di interessante da dire.
Ecco, dobbiamo condividere tutto... "se non me lo dici è perché non l' hai fatto"... pare proprio che non ci possa più essere niente omissibile alle fauci di Facebook o Twitter.
Saremmo lo stesso tali "grandi viaggiatori" se non avessimo internet a coprirci le spalle?
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